Programma

 

TESI E ANTITESI
Tensioni verso il nuovo e reminiscenze antiche

 

Giovanni Legrenzi (Clusone, 1626 - Venezia, 27 maggio 1690)

Sonata op. 11 n 3 a 2, 2 violini [e bc], si minore 
Sonata op. 11 n 4 a 3, 2 violini e viola da brazzo [e bc], la maggiore
Sonata op. 11 n 6 a 2, violino e viola da brazzo [e bc], re maggiore
Sonata op. 4 a 3, 2 violini e violone [e bc], La Brembata, re minore
Sonata op. 4 a 3, 2 violini e violone [e bc], La Forni, do minore 
Corrente seconda, Balletto terzo, do maggiore
Sonata op. 4 a 3, 2 violini e violone [e bc], La Benaglia, re maggiore 
Sonata op. 4 a 3, 2 violini e violone [e bc], La Biffi, re minore 
Sarabanda prima, Allemanda La Pozzi, re maggiore
Sonata op. 4 a 3, 2 violini e violone [e bc], La Secca Soarda, sol minore 
Sonata op. 11 n 5 a 2, violino e viola da brazzo [e bc], do minore 
Sonata op. 11 n 1 a 2, 2 violini [e bc], re minore 
Sonata op. 11 n 2 a 3, 2 violini e viola da brazzo [e bc], si bem maggiore

 

LA RISONANZA
Carlo Lazzaroni, Ulrike Slowik - violini
Caterina Dell’Agnello - violone e viola da brazzo
Fabio Bonizzoni - clavicembalo

 

Stephen Bonta, nel suo articolo per il New Grove Dictionary of Music and Musicians, afferma che lo stile compositivo di Giovanni Legrenzi "rimane essenzialmente lo stesso nei vari generi musicali, e mostra scarsi segni di sviluppo o di cambiamento nel corso della sua carriera, fatto salvo che per l’acquisizione di maggior raffinatezza.” Senza voler contraddire l’opinione di questo eminente musicologo, il programma odierno, che mette a confronto sonate dell'Opera 4 (del 1656) con sonate dell'Opera 11 (del 1673), offre tuttavia alcuni spunti di riflessione.

Partiamo dai rispettivi titoli: l'Opera 4 presenta "Sonate da Chiesa, e da Camera, Correnti, Balletti, Alemane, Sarabande a tre, doi violini e violone." L'Opera 11 reca invece la seguente indicazione sul frontespizio: "La Cetra. Libro Quarto di Sonate a due, tre e quattro stromenti.” Il messaggio del frontespizio dell'Opera 4 è dunque totalmente incentrato sulla varietà dei contenuti del libro, in particolare delle forme musicali in esso presenti; inoltre, è molto specifico per quanto riguarda gli strumenti cui si rivolge: due violini e violone (torneremo più avanti sulla intrinseca non specificità del termine “violone"). Si noti che, secondo una pratica molto comune in questo periodo in Italia, non viene nominata una quarta parte indispensabile in tutte le composizioni dell'opera e la cui presenza viene data per scontata, quella del basso continuo. Al confronto, il frontespizio dell'opera 11 si segnala per due caratteristiche: quella di recare un vero e proprio titolo "La Cetra" (molte delle pubblicazioni di Legrenzi, peraltro, hanno veri e propri titoli) e quella di essere molto meno precisa rispetto ai contenuti dell'opera: ci viene solo detto che essa contiene non meglio specificate “sonate” per un numero variabile di strumenti (anche qui al numero degli strumenti nominati, 4 al massimo, sarà da aggiungere la solita parte obbligata del basso continuo). Niente è invece detto della forma di queste sonate, né della loro strumentazione. Bisogna dunque scorrere il volume per scoprire cosa Legrenzi ci regali con questa Cetra. La prima cosa che si nota è che le "Sonate a due" si dividono in due sottotipi, quelle a due violini e quelle a violino e basso (sempre oltre al basso continuo). Quelle a tre sono a due violini e basso, mentre quelle a quattro sono sia a quattro violini (combinazione abbastanza rara che ci proietta a repertorio del 700), sia a due violini, viola e basso sia, infine, a “quattro viole da gamba, o come piace”, cioè sostanzialmente a soprano alto tenore e basso, potendo prevedere per la loro esecuzione l’utilizzo di “ogni sorta di strumenti” (locuzione comune all’epoca).

Ma l’analisi si fa più interessante andando a guardare meglio le singole sonate. Infatti, se nell’opera 4 i vari generi sono piuttosto omogenei tra loro - la forma cioè e la struttura delle sonate da chiesa, così come di quelle da camera, e poi delle danze, è simile tra i vari gruppi - La Cetra presenta un'inventiva, anche formale, più varia. Anzitutto non sono presenti sonate che non prevedano cambi di tempo al loro interno (nell’opera 4 invece solo le sonate da chiesa li prevedono) ma, soprattutto, la lunghezza delle diverse sezioni è molto variabile. Non solo: i ritmi che Legrenzi usa sono più fantasiosi e più sorprendenti. Nel complesso dunque, cosa che non si potrebbe evincere dal titolo, La Cetra appare come una raccolta più varia e sperimentale che non l’opera 4. Ora, tornando alle parole di Stephen Bonta, che non vede cenni di sviluppo della scrittura di Legrenzi nel corso degli anni, occorre preliminarmente intendersi sul significato della parola “sviluppo” (a volte si usa addirittura l’espressione “evoluzione"). Personalmente, trovo molto rischioso parlare di sviluppo o di evoluzione riferendosi all’arte, nel senso che entrambe queste espressioni rischiano di portare con sé un’idea di "miglioramento" della creazione artistica rispetto a quelle del passato, tema che merita sicuramente una discussione estetico-filosofica approfondita, certamente non in questa sede. Quello che mi preme sottolineare in queste note, e ciò che ho provato a fare compilando questo programma, è mostrare come la produzione di Legrenzi, ammesso pure che non si "sviluppi" nel corso degli anni, non per questo appare monotona. Anzi, il raffronto tra le sonate dell’opera 4 e quelle dell’opera 11 ci mostra un compositore che, se non propriamente inquieto, è però curioso di sperimentare nuove forme e nuove soluzioni tanto stilistiche quanto formali. Di rinnovare il suo stile di scrittura e, quindi, di rinnovare il proprio linguaggio.

Quanto poi al fatto che l’opera 11 sia più evoluta, cioè guardi più al futuro che non al passato, non mi sembra questa una conclusione che vada presa per scontata. Anzi, la sua cifra di novità mi pare piuttosto ambigua. Lo stesso suo essere più “sperimentale”, come abbiamo visto, può per certi versi farcela accomunare maggiormente al linguaggio del primo barocco piuttosto che allo stile che andò sviluppandosi nella seconda metà del Seicento. E’ infatti ben noto che fu proprio il primo barocco, quello segnato dal passaggio dalla Prima alla Seconda Pratica, a essere linguaggio sperimentale per antonomasia. Riguardo alla frammentazione degli episodi poi, volendo tracciare un paragone forse un po’ ardito con certo repertorio per tastiera, essa appare più marcata nelle Toccate di Girolamo Frescobaldi che non in quelle del suo discepolo Johann Jacob Froberger. A modo suo, l’opera 4, con le sue sonate da camera, da chiesa (meno, a dire il vero, con le brevi danze), prelude quasi a forme che andranno standardizzandosi successivamente nel modello corelliano.

Contraddittoria, infine, è anche la caratteristica dell’opera 11 dal punto di vista della strumentazione: se da un lato essa contiene un brano a 4 violini e basso continuo, anticipando una scrittura che non mi pare abbia riscontro nel Seicento e che ci proietta invece in una sonorità settecentesca (penso a Ferrandini, a Valentini, allo stesso Vivaldi), d’altro lato invece la presenza di sonate a “quattro viole da gamba, o come piace” rimanda sicuramente a un periodo precedente, in cui l’omogeneità dei timbri (le quattro viola da gamba che suonano in consort), piuttosto che la non specifica destinazione strumentale, erano la norma. Una parola ancora, e ancora un segno contraddittorio, sulla terminologia usata per identificare lo strumento basso richiesto dalle sonate che lo prevedono (tutte quelle dell’opera 4 e alcune dell’opera 11): esso è chiamato “violone”, immancabilmente, nell’opera 4 e invece “viola da brazzo, o fagotto” nell’opera 11. Sull’ambiguità del termine “violone”, o meglio sul fatto che il termine specifico possa indicare strumenti anche molto diversi tra loro a seconda del periodo e del luogo, è stato scritto molto (e lo stesso Stephen Bonta è tra i maggiori conoscitori dell’argomento). Ma ciò che trovo curioso è come il termine violone venga utilizzato nell’opera 4 in un’accezione - è quanto si evince almeno dall’analisi della musica - che lo avvicina al violone come inteso a Roma nella seconda metà del Seicento, vale a dire a uno strumento di 8 piedi, della famiglia del violino, di taglia imprecisata ma probabilmente un poco più grande del violoncello attuale, accordato per quinte e generalmente suonato tenendolo in posizione verticale. Nell’opera 11, al contrario, parti che hanno tessiture analoghe a quelle dell’opera 4, e che verosimilmente si rivolgono allo stesso strumento, vengano destinate alla “viola da brazzo”. Questa definizione è, a tutti gli effetti, una delle possibili tra quelle che identificano un basso di 8 piedi (o di 6 piedi nel caso di uno strumento più piccolo) sempre facente parte della famiglia dei violini e sempre accordato per quinte. In poche parole, dunque, con ogni probabilità lo strumento basso che Legrenzi immagina nell’opera 4 e nell’opera 11 è lo stesso. Tuttavia, nell’opera 11 egli lo chiama con un nome più arcaico. Una volta di più, dunque, un’ambiguità riguardo all’essere La Cetra una opera più moderna, o invece di gusto più antico, rispetto all’opera 4.

Come dicevo, il programma che ho scelto si muove tra queste due raccolte cercando di fornire - con un organico di due violini e basso a disposizione - la maggior varietà possibile tra le forme e gli affetti che nelle due opere sono presentate. Per una mia personale forma mentis, ho voluto strutturarlo in maniera abbastanza simmetrica facendo seguire, a un gruppo di composizioni prese dall'opera 11, una parte centrale del concerto dedicata all’opera 4, per poi tornare all’opera 11. Nel blocco dedicato all’opera 4 ho voluto includere tutti i generi che vi sono rappresentati, dunque sia sonate da chiesa, sia sonate da camera, sia danze. Per quanto riguarda queste ultime, anche se non specificamente dichiarato, sembrerebbe che Legrenzi abbia immaginato un accoppiamento di Sarabanda e Allemanda (probabilmente in quest’ordine) mentre che Correnti e Balletti fossero danze autonome. Le tonalità non permettono d'altronde di creare delle vere e proprie suite di 4 danze. Tuttavia, ho scelto una Corrente e un Balletto nella stessa tonalità e li ho accostati creando un piccolo dittico.
 

Info

Ingresso gratuito, prenotazione facoltativa 

Discografia

Alcuni dei momenti più belli della mia vita musicale, li ho vissuti registrando. Qui trovate un elenco dei numerosissimi dischi che abbiamo prodotto: quelli che ho registrato da solo, quelli che ho fatto con pochi amici, e quelli con molti. Sono tanti, forse troppi, ma tanti sono gli anni che mi vedono calcare le scene, soprattutto con La Risonanza. La registrazione che ha significato di più per me? Le cantate italiane di Handel, senz’altro. Il disco che mi ha coinvolto di più emotivamente? Didone e Enea. Quello che mi appassiona di più? Quello che non abbiamo ancora registrato, ma a cui stiamo già lavorando!